Irlanda del Nord, tra Belfast Celtic e George Best…

Regno Unito, Irlanda del Nord, Belfast, Cimitero Roselawn. All’ingresso distribuisco una mappa per arrivare alla tomba di George Best. Sono passati dieci anni esatti da quando è stato sepolto qui, tra la madre (Annie, morta nel ’78 alcolizzata come il figlio) e il padre (Dickie, morto non si sa come). Era il 25 novembre del 2005, per lui avevano scelto la sezione S, quarto vialetto sulla destra, sopra la collina. Tra la gente comune, non un mausoleo. Pochi fiori, giusto una sciarpa (del Manchester United), e un gagliardetto (del Glentoran), appoggiati per terra di fianco al suo nome. Ma quest’anno, per la prima volta, succederà una cosa nuova, in questo cimitero, in questa data, in questa città: apparentemente una coincidenza, ma che tanto occasionale non è, un incrocio di destini, roba da intenditori. Dunque, il fatto è questo: entro la fine di dicembre vogliono portare qui, in questa piccola porzione di terra nell’Irlanda del Nord, anche la tomba di Patrick O’Connell (ex calciatore irlandese, classe 1887). Per capirlo meglio, per riconoscere la grandezza e il romanticismo di questo gesto, per sapere chi vuole mettere a punto questo folle progetto: è necessario fare un passo indietro, e narrare le vicende della gloriosa squadra del Belfast Celtic.

Il gioco del calcio in Irlanda del Nord non ha niente a che vedere con i sogni dei bambini di Nick Hornby o con il “ritorno settimanale all’infanzia” che tanto piace a Javier Marias. Il calcio a Belfast è questione di vita o di morte, ed è la religione che fa decidere la squadra da tifare. Fin dalla nascita dell’Irish League (due anni dopo la Football League in Inghilterra), se sei cattolico, filo-irlandese, indipendentista, sei del Belfast Celtic, se sei protestante, filo-britannico, unionista, sei del Linfield Fc. E lo scontro tra le due squadre è l’unico match al mondo programmato fin dall’anno prima, e si gioca nel “Boxing Day”, Santo Stefano di ogni anno. Ma nel 1948 il Belfast Celtic sparisce dalla faccia della terra, nel giro di una sera. Si tratta del giorno della partita annuale giocata contro i nemici più acerrimi, a Windstor Park. Windsor Park è uno stadio da 24.734 posti che per motivi di sicurezza vengono sempre portati a 12.342. Windsor Park, una bomba pronta ad esplodere, una pentola che ha superato il punto di pressione, qui a Belfast, dove di bombe e di pressione se ne intendono. Perché l’odio a Belfast ha sempre toccato livelli altissimi, anche gli U2 l’hanno cantato, con Bloody Sunday. Intolleranza religiosa e ghettizzazione arrivano sempre fino nelle tifoserie delle squadre di calcio. E la sera di dicembre del 1948 accade questo: partita durissima, tra due squadre che si alternano nell’albo d’oro del campionato. Al 35′ del primo tempo, in uno scontro fortuito con il centravanti del Celtic Jimmy Jones, il difensore del Linfield Bob Bryson si rompe una caviglia e deve lasciare la propria squadra in 10 uomini, vista l’impossibilità di effettuare sostituzioni. Pochi minuti più tardi, restano addirittura in nove: l’attaccante Jackie Russell viene colpito violentemente dal pallone, pesantissimo a causa della pioggia, ed esce svenuto dal terreno di gioco. La folla dei Blues è furibonda, e ad aizzarla ulteriormente ci pensa l’annuncio della diagnosi scorretta di gamba spezzata per Bryson. Mentre la rabbia si impasta con l’alcool e monta inesorabile, mancano 18 minuti al fischio finale: Paddy Bonnar (Celtic) e Albert Currie (Linfield) vengono alle mani, e l’arbitro li espelle; sugli spalti la polizia deve ricorrere ai manganelli per tenere a bada la Spion Kop, la terrace dei tifosi più scalmanati. A 10 minuti dal termine: rigore, fischia l’arbitro. Dal dischetto il capitano Harry Taylor fa centro, 1-0 per i Celts. La situazione sugli spalti si fa quasi insostenibile. Sul prato i giocatori continuano a correre e picchiare. A quattro minuti, Isaac McDowell scappa sulla fascia, vede in mezzo Billy Simpson, lo serve, e fa gol: 1-1. È il delirio. I tifosi del Linfield, ubriachi di gioia quasi quanto di birra e whisky, entrano in campo, parte la caccia all’uomo, vogliono Jimmy Jones. Riesconoraggiungerlo, lo aggrediscono in trenta, gli saltano sulla sua gamba destra e gliela spezzano, ma per fortuna lui è vivo. Il Belfast Celtic, invece, muore quel 27 dicembre del 1948.

Captura de pantalla 2014-07-24 a la(s) 11.31.53 Il derby fu l’ultima disputata da quella squadra leggendaria, capace di vincere 56 titoli (più cinque campionati non riconosciuti dalla Irish Football Association) in 58 anni di vita e di contribuire a formare alcuni dei più grandi giocatori del calcio irlandese. Come Charlie Tully, colonna del Celtic di Glasgow, come Mickey Hamill, forte centrocampista di Manchester United e Manchester City; come Patrick O’Connell, che divenne un celebre allenatore e guidò anche il Barcellona negli anni ’30. Ecco Patrick O’Connell chi è, che ora giace in una tomba senza nome a Londra (a Kensal Road), perché morto in povertà e senza nessuno.

Da quella notte, il “The Big Two” di Belfast si gioca tra Linfield e Glentoran. Così come accadrà quest’anno. Dunque, il Glentoran: la squadra che tifava da bambino George Best. Ecco spiegato il gagliardetto che giace di fianco al suo nome, sotto la sua tomba, al cimitero di Roselawn. Ed ecco spiegato il romanticismo del gesto, di questo piccolo gruppo di sostenitori del Belfast Celtic (il loro motto era “when we had nothing we had Belfast Celtic then we had everything”) che vogliono riportare le spoglie di Patrick O’Connell, quest’anno, nella città dove ha iniziato la sua carriera. Sono della Belfast Celtic Society, in città si contano addirittura 15 ritrovi ufficiali (un’organizzazione con lo scopo di diffondere la conoscenza storica del club), e mai come quest’anno i messaggi di ricordo sono tanti, grazie a Facebook, a Twitter, e al loro sito web. Con la gente comune che scrive sui social network ci sono anche Luis Figo, Beckenbauer e Johan Cruyff che li sostengono. Sono gli stessi che conoscono la storia di O’Connell, e che sanno cosa vuol dire essere fondamentali per un club, tenere in mano le sorti di un’intera città, e poi di una nazione.

Il formidabile gesto dovrebbe avvenire in prossimità del prossimo Boxing Day a Windsor Park. Non si sa ancora se il comune attribuirà lo spazio per la tomba di O’Connell nel cimitero di Roselawn o in un altro nell’East Belfast, quello che si sa è che questa storia ha già attribuito un significato nuovo alla parola calcio, qui a Belfast, Irlanda del Nord, Regno Unito.

 

E’ SUL FATTO DI OGGI, PAGINA 18!

 

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* la prima volta che sono andata in Irlanda del Nord era nel 1998, un mese, con lunga tappa anche in Scozia a cercare le mie origini. La seconda volta nel 2006: Best era morto da un anno, il Manchester l’avevo visto giocare dal vivo da tre, io mi ero laureata in fisica da quattro, e avevo finito di frequentare l’Ecole Polytechinique di Parigi da due. Non ho mai condiviso la vita dei geni e sregolatezza, ma ho sempre molto simpatizzato con loro: sarà per questo che li racconto ancora, dopo 15 anni dalla prima volta, e spesso, francamente volentieri. Avevo creato una trasmissione su RadioPopolare di Milano con l’intento di raccontarli tutti, recensivo libri come quello su Bruno Neri o Tony Adams, e qualcuno veniva anche volentieri, ricordo Effenberg (che ha dato il titolo al programma, e poi al mio primo libro), ricordo Riccardo Zampagna, ricordo Igor Protti, ricordo Ezio Vendrame, ricordo Paolo Sollier, ricordo Carlo Petrini, poi li intervistavo anche per il Manifesto con paginate strepitose dedicate a loro, e la maggior parte delle volte ne diventavo amica.

Bibliografia e web: oggi volevo segnalare gli amici di UkPremier e di UkFootballPlease, sempre aggiornati sul calcio nel Regno Unito. Gli amici che mi sostengono sui social network che sono certo più informati di me sul bel calcio d’oggi, e che mi mandano continuamente segnalazioni, e scritti, privatamente: continuate così, sono con voi, e appena posso ne scrivo e ne parlo e diffondo. Un articolo uscito su un blog fondato da un ragazzo di 19 anni, alessandro colombini, che si chiama minuto78 in cui viene raccontata la partita di cui accenno nel mio articolo, di edoardo molinelli, e lo stesso ragazzo pubblicherà un libro sull’irlanda a gennaio con la casa editrice Urbone Publishing, di cui apprezzo moltissimo i lavori. C’è anche un bellissimo reportage di Luca Manes sul blog CrampiSportivi, e ha scritto anche di calcio nordirlandese su Alias, l’allegato del Manifesto. E poi c’è il libro Cletic Forever, veramente magnifico, scritto con Max Troiani e pubblicato da Bradipolibri (la mia prima casa editrice!), con cui ho avuto il piacere di confrontarmi spesso. A 10 anni dalla morte di George Best, però, secondo me, oggi chi ha saputo raccontare meglio di tutti di lui è stato Irvine Welsh, con un solo tweet da 140 caratteri.

 

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