Caos all’Umberto I, quello che si vive al pronto soccorso
Le ambulanze, qui, all’ingresso del pronto soccorso dell’Umberto I di Roma (l’Umberto I è il secondo ospedale pubblico più grande d’Italia, con i suoi 1200 posti letto; ed è il policlinico universitario della prima Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Sapienza), dicevamo: le ambulanze arrivano, con la fretta che potete immaginare, e in questo preciso momento scattano le operazioni d’urgenza previste per ogni caso. Sono due, arrivate in contemporanea. Assistiamo alle prime pratiche: veloce burocrazia, e poi appoggio del malato sulla barella o sulla carrozzina. Ma, a differenza delle altre volte (mesi scorsi, anni scorsi), le barelle, o le carrozzine, devono sostare nei corridoi. Corridoi maestosi, questi dell’Umberto I. Ma pur sempre corridoi. «La precedenza per i casi più gravi», insiste a dire l’infermiera che si affaccia alla porta scorrevole, mentre due signore chiedono un aiuto urgente, una per un dolore all’addome, l’altra per un dito della mano rotto. Entrambe sono in piedi, appoggiate al muro. «Purtroppo, la situazione è questa, adesso».
Siamo sempre all’ingresso, sono le quattro del pomeriggio. Oltre alle due signore, nel primo stanzino a sinistra ci sono anche altre cinque persone: due con un gesso al piede, altre due con un dolore non identificato in qualche parte nei pressi dello stomaco, e l’ultimo con una botta in testa da controllare, dovuta ad una caduta dalle stale di casa. Nessuno di loro, avendo codice non urgente, è stato ancora visitato: dicono di stare aspettando da più di cinque ore.
Nella stanza sulla destra, invece, c’è il primo ricovero dopo l’arrivo in ambulanza. Una signora riferisce che questa mattina lei stessa è arrivata in ambulanza, ma pur essendo passata da quello stanzino, poi ha dovuto prendere posto lungo il corridoio: lo svenimento, la causa che l’ha portata fino a qui, ancora non ha avuto una spiegazione medica. «Mi hanno solo detto che mi tengono d’occhio, tutto qui». Intanto, riusciamo ad entrare oltre la seconda porta scorrevole. Da qui parte il secondo corridoio, e una dopo l’altra sono sistemate le barelle, e le carrozzine, con sopra delle persone, tutte ben attaccate ai muri. «Pazzesco, questo è un vero inferno», racconta il signor Franco Tirelli, che ha portato la figlia d’urgenza in ospedale per un forte dolore al basso ventre. «Mia figlia l’hanno sedata, e ora sta attaccata ad una flebo. Per fare una ecografia ci abbiamo messo tutto il giorno, ma per trovare il motivo di questo malore dovremmo aspettare tutto il giorno: cosi ci hanno detto. Perché ci sono i casi d’urgenza. Ma anche per questi casi d’urgenza non c’è posto. Ho assistito stamattina all’arrivo di un uomo che ha avuto un ictus, ed è stato messo sulla barella qui vicino a noi. Ora, è ancora lì, nella stanza che chiamano “grande”. Entrate a vedere, lì dentro, ci sono due casi di ictus. Tutti fermi lì con gli altri. E i parenti non potrebbero neanche stare qui dentro, è una fortuna se riusciamo a fare questo strappo alla regola. Il nervosismo regna sovrano. Non si possono neanche fare troppe domande».
Dunque, la “stanza grande”. Si tratta di un’altra stanzetta, finestre chiuse, cinque metri per cinque. Dentro, come riferito dal signor Tirelli, ci sono otto lettini: due casi di ictus, quattro donne che lamentano dolori diffusi, due incidenti d’auto con fratture. Ogni lettino ha sopra una persona, e nella metà dei casi di fianco c’è un accompagnatore. Aria irrespirabile, tensione sui volti dei presenti, tutti molto stretti: si fatica a fare un passo. Fuori, proseguendo nel giro, un altro stanzino, altro corridoio, almeno altre dieci persone in attesa di essere guardate.
C’è un’infermiera che fa il giro dei lettini. «Prima c’era un’altra persona, quando siamo arrivati: deve esserci stato il cambio del turno», racconta una signora sui cinquanta, sistemata sulla carrozzina nel corridoio. «Non passa molta gente, i medici sono pochi e quando arrivano sono di fretta: c’è carenza di personale, ci hanno detto». Infatti, un altro dei problemi, qui, all’Umberto I, è il mancato rinnovo dei contratti al personale precario. Insieme ai tagli, alla spending review, alla diminuzione dei posti letto, ai ritardi nei pagamenti dei compensi al personale medico, al servizio sanitario nazionale non garantito.
Finalmente, un’altra infermiera si accorge di noi. Vuole farci uscire, ma sarà da lei che avremo i dettagli di queste giornate, lunghe, faticose, di pronto soccorso all’Umberto I, il secondo ospedale più grande d’Italia. Racconta Liliana: «Man mano che andiamo avanti, la situazione peggiora. Fuori da qui, nessuno si accorge realmente dell’inferno in cui ci troviamo. Arrivano le ambulanze, e siamo pochissimi in servizio. Ora ci toglieranno pure i collaboratori, i precari, e sarà una tragedia. Viviamo le giornate malissimo, sperando che non arrivino casi molto gravi tutti insieme. E la gente sta stretta, e tutti si lamentano, e ci sono volte che nemmeno in corridoio si riesce a camminare».
Intanto, la gente continua ad arrivare. Le registrazioni da codice verde, vengono prese lo stesso. «Ma non sappiamo i tempi, eh?», ricordano al desk accettazione. La sala d’attesa non esiste neanche più. Ora, per temporeggiare e ogni tanto fare capolino dentro la porta scorrevole per capire se è arrivato il proprio turno, c’è persino gente che compra un libro nell’edicola qui del cortile, e prende posto nella sala lettura “Marta Russo”, quella dell’Università. Vicino alle matricole che preparano Fisica I.
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