Fumata bianca. Il racconto dell’elezione di Papa Bergoglio, da piazza San Pietro
Come mosche impazzite. La gente si muove così. Qui, a piazza San Pietro. Veloci nel loro zigzagare, tutti si spostano da un posto all’altro. Anche se sono stretti, anche se non c’è poi così tanto spazio. Ma nessun riesce a stare fermo un attimo. Gli occhi, però, sono fissi. Lo sguardo non viene tolto dalla cupola della Cappella Sistina. Questa volta sanno tutti bene dove guardare. Il comignolo, anche se nascosto dietro il colonnato di destra, coperto dall’impalcatura dei lavori di ristrutturazione, è più illuminato. E la fumata bianca sale alto. Sono le 19.06, la pioggia ha pure smesso di scendere. Finalmente habemus papam. Le persone non devono più fissare i quattro maxischermi con il fermo immagine della parte terminale dei tubi della stufa, dove si bruciano le schede. Il fumo bianco ora si vede anche lontano, nel cielo scuro della sera. Ora il nome c’è, e quando il nome dell’Arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, viene nominato, gli olè e gli evviva della gente fanno venire i brividi.
Al secondo giorno di Conclave, eletto alla quinta votazione. Tutti alzano i telefonini al cielo, per la foto. Per il video da postare su Youtube. Io c’ero, a dire questo serve essere qui stasera. Questa è l’elezione del Papa seguita dai social network, ma essere presenti alla fumata è una cosa da togliere il fiato. Perché tutto parte della piazza. Da questa piazza in cui ha pure grandinato oggi, ma la gente non ha mai smesso di arrivare. Fin dalla fumata, nera, della mattina. Fin dalle prime ore del’alba. E quelli che hanno comprato le magliette con la foto del Cardinale Scola le tirano in aria. Tutti gridano, cantano, sventolano bandiere, le campane che suonano forti, e non fanno sentire nemmeno la voce di quello di fianco. C’è il bambino che prima piangeva, e all’improvviso si zittisce da solo. C’è il signore anziano che si mette a piangere. I Papa-boys urlano euforici. Ci sono gli africani che hanno pure i bonghi, e dal colonnato di sinistra improvvisano una danza. Con le mani giunte, vicino al viso, ci sono le suore (che, qui a Roma, vengono chiamate “monachelle”). Ecco, tre di loro soccorrono una donna che sta per svenire. “Non ci posso credere, siamo salvi”, dice prima di inginocchiarsi al suolo. La gente si commuove, o festeggia: queste sono le due reazioni. Sotto l’obelisco c’è pure qualcuno che si è arrampicato: salutano con le mani al cielo, questi ragazzi. Colpiscono i colori, colpisce l’entusiasmo. E’ toccante quando la banda intona l’inno d’Italia. E’ il momento di maggior trasporto: tutti, ma proprio tutti, lo cantano. Anche da via della Conciliazione, anche dal lungotevere, il fiume di persone scorre in un solo senso. Ci sono pure quelli che si scambiano baci, e si abbracciano con le lacrime agli occhi. Dopo un’ora dalla fumata, si accende la luce dietro la tenda rossa. Poi, la benedizione urbi et orbi, e il boato è così grande che si sente pure nei quartieri vicini.
Alla cittadella dell’informazione i retroscena corrono veloci. La cena, dice l’invitato della Cnn, leggera, ha portato a nuovi dialoghi, e a stringere i tempi. La sala dei divani, invece, viene descritta bene dall’inviato del New York Times ai suoi, entra nei dettagli sui posti a sedere: Scola vicino a Tagle, O’Malley accanto a Ortega, a parlare fitto fitto, per più di un’ora, per poi far da portavoci con gli altri. “E’ lì che si è deciso tutto”, dice. Il giornalista di Radio France che, tra l’altro, ricorda che i Cardinali non hanno assaggiato nemmeno i dolci (per via della Quaresima), e non hanno potuto guardarsi Barcellona-Milan (non ci sono televisioni), però dice “hanno deciso all’unanimità che non si poteva rimandare ancora di un giorno”. Poi, c’è il nostro amico cronista arabo, quello con cavalletto, macchina fotografica, telecamerina e taccuino (ha tutto lui), che dice di aver avuto una soffiata: nella pausa del pomeriggio, e sapeva già il nome. Ma sono le persone in strada, sempre le più informate. Gira in fretta l’informazione che ha dato padre Lombardi durante la conferenza stampa del primo pomeriggio, quando ha detto che nella fumata bianca c’è lattosio e zolfo.
Ora i telefonini sono in tilt, non funziona più nessun segnale. C’è il gruppo di bambini delle scuole romane che alza lo striscione a favore di telecamere, i polacchi che cantano, i brasiliani che pregano. Adesso, che il Papa argentino è stato eletto, ci sono solo sorrisi, solo grandi gesti di felicità. E qui, nella piazza, c’è molta solidarietà tra i presenti: chi presta una cerata alla ragazza che si è infradiciata sullo scooter, chi condivide un pacchetto di patatine, chi fa capannello con sconosciuti, così, tanto per chiacchierare sul nome dell’eletto. Il nome di Ratzinger viaggia ancora nell’aria, qualcuno lo ricorda con un coro. Tra le bandiere sventolate al vento dei vari Paesi, si sentono i canti, religiosi e no, da “When the saints go marching in” fino ad arrivare a “Que viva Espana”. Che viene voglia di unirsi al coro, anche se non sei dei loro.
E’ una piazza diversa da quella del 2005. Allora, la straordinaria reazione popolare aveva fatto seguito alla morte di Wojtyla. Oggi, è indebolita dalle dimissioni di Ratzinger e dalle divisioni interne che ne cambiano l’aspetto. Ma è il mondo a essere cambiato, otto anni fa la crisi doveva ancora arrivare, e fuori dal Vaticano non mancava un Governo, e fra poco un Capo di Stato. Per questo, i fedeli avevano più fretta di avere un nome. Qui nella piazza, non si faceva altro che chiedere un nome. Adesso, c’è. E quando il nuovo Pontefice, che ha scelto il nome di Francesco, si è affacciato, c’è stato pure qualcuno che ha detto: ecco perché c’è stato il gabbiano sul comignolo delle fumate, per tutto il pomeriggio.
E’ sul sito di Vanity Fair
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