Dalla mia laurea in fisica al giornalismo, alle interviste con lei: ecco cosa mi ha insegnato Margherita Hack
Rispondeva macchissenefrega. Con una frequenza insolita. Rispondeva male, se non le andava a genio una domanda. E rispondeva anche in maniera sgarbata, se ci si avvicinava a lei con delle banalità, o luoghi comuni. Perché come si dice in gergo scientifico “è non-banale, qualcosa che non ti aspetti”, il resto è tutto noioso, e inutile soffermarsi troppo. La conobbi durante i miei ultimi mesi di Fisica: mi sono laureata all’Università di Milano, e da lei andai per parlare di materia oscura e neutrini solari. Nei laboratori del Gran Sasso, in Abruzzo.
Noi, giovani studenti pieni di idee e di sogni, amanti degli esperimenti e delle invenzioni, avevamo una certa sottomissione psicologica, quando ci avvicinavamo a lei. Perché la Hack era famosa per la sua capacità coinvolgente di non sottrarsi mai al confronto, ai dubbi: e questo ci metteva in grandi difficoltà. Perché non uscivamo mai dal suo ufficio, con delle certezze. Anzi. Ci creava dei crateri dove infilarci con la testa, in lunghe, interminabili notti insonni. Notti a pensare, sui perché avvengono le cose. Non le bastavano le formule matematiche per spiegare le cose, ma usava soprattutto la logica, la consequenzialità degli eventi. Analizzava ciò che era stato già dimostrato, e metteva in dubbio pure quello. Spingeva tutti, noi giovani di allora, ad andare all’estero per studiare la fisica. Io andai all’Ecole Polytechnique di Parigi, per due anni, e quando tornai fu una delle prime persone che ho ringraziato per la scelta che avevo preso. Perché dava lo slancio per fare tutto, metteva la carica giusta addosso a chi la stava ad ascoltare; perché lei aveva il coraggio, la spregiudicatezza, e la trasmetteva come unica arma per uscire da situazioni di crisi, o di stallo. Anche nei suoi ultimi anni di vita.
Da quando faccio la giornalista, ho avuto la possibilità di farle diverse interviste. Per raccontare i suoi libri, per entrare nel dettaglio dell’ultima scoperta scientifica con lei, per commentare anche cose di politica, o argomenti più leggeri come il calcio. La più recente risale a fine ottobre scorso. Siamo state due ore a parlare. Ma non ero solo io a fare le domande, anche lei. La cosa bella, era che con lei si poteva discorrere di tutto. Per dire: la Hack non prendeva nessuno per matto. Cioè, quando le ho raccontato del mio percorso, delle mie scelte di vita professionali, mica ha mai sgranato gli occhi. Anzi. Lo sosteneva con enormi sorrisi: “Non è che se ti laurei in fisica, e fatichi per fare qualcosa, allora lo farai per sempre: è una continua rinascita, se vuoi stare bene. Sono per il cambiamento, per le svolte”. Aveva risposte tranchant, chiuse, tonde, quando si riportavano pensieri di gente che non le piaceva. I medici, erano una categoria che non le piacevano. Mi diceva “non è detto che se sei medico, allora vuol dire che sei intelligente”. Lei metteva in discussione ogni loro referto, ogni loro conclusione. Quando non le hanno rinnovato la patente di guida, perché la stimavano troppo anziana, lei si arrabbiò parecchio, perché non era sufficiente avere tre bypass, per concludere che i riflessi di una novantenne non erano più pronti.
Ha guidato solo macchine Fiat: sosteneva le industrie italiane, allo sfinimento. Diceva che se si mettevano in fila tutti i modelli di macchine Fiat che aveva guidato nella sua vita, allora si poteva ricostruire la storia d’Italia. Una volta mi sono segnata l’elenco che mi ha fatto: dunque, è nata nel ’22, e ha portato la 500 Topolino, la giardinetta, la 850, la 124, la 127, la tipo, la Uno, e l’ultima è stata una Panda. Poi, aveva in casa ancora una radio Geloso, e il televisore di marca Mivar.
Detestava le persone rozze. Non amava, per dire, Marchionne. Ha dato una possibilità a Renzi, come sindaco di Firenze, ma poi lo ha annusato a distanza. Era pazza di Nichi Vendola: “perché sono per il riconoscimento delle coppie omosessuali”, questa una sua grande convinzione. Politicamente, quest’anno, si è anche candidata con il partito “Democrazia Atea”, ma sosteneva anche un’altra teoria: “Ho sempre accettato quando qualcuno portava avanti il mio nome, per nobili cause: ma poi quando si è trattato di occupare una sedia, ho sempre lasciato il posto a un altro: come nel caso delle elezioni regionali del 2005 con i Comunisti Italiani; poi nel 2006, in molteplici circoscrizioni della Camera; o come con Diliberto nel 2009, oppure l’anno dopo con la Federazione della Sinistra. Mi candido io, e poi lascio a qualcuno di più giovane il posto”. Ma la sua risposta più bella, me la diede quando le chiesi qual è la cosa per cui vale la pena ancora combattere. Lei mi rispose: “quelle basate su un’esistenza atea, priva di alcuna religione. Credo in tutto ciò che ha una base scientifica, credo nella materia, non credo in dio, nell’anima o nell’aldilà. Dio è un’invenzione per spiegare cose che non sappiamo. Miracoli o madonne che piangono sono illusioni o fenomeni naturali non compresi: ma perché non ridono mai, ‘ste madonne? Siamo al mondo, per domandarci chi siamo e da dove veniamo. Dio è buy clomid un’ipotesi non necessaria, per spiegare l’esistenza dell’uomo. Per non parlare dell’astrologia. Ma io sono di parte. E le dico anche che plavix package insert fda l’oroscopo è una scemenza per perdere tempo. L’astrologia è un residuo di ignoranza del passato. Le stelle non influiscono sulla vita dell’uomo. Il futuro dipende dalle nostre azioni”. Sulla Chiesa, poi, pensava cose ancora più forti: “È un dramma, ma la chiesa e la religione non esisteranno in eterno. Tutto avrà una fine. Se si pensa che tra 5 miliardi di anni, Mercurio, Venere, la Terra verranno inghiottiti dal Sole”.
Amava la bicicletta, e la Fiorentina. Nel senso della squadra di calcio. Anche perché quella che si mangia, no, lei non la guardava neppure. Era vegetariana, perché adorava gli animali, e l’idea di “mettere in bocca un pezzo di cadavere” la faceva stare male. Una volta le ho chiesto come assumeva ferro: mi rispose “macchissenefrega del ferro. Il Cynar contiene ferro, perché è fatto coi carciofi, ecco come lo assumo”.
Parlava sempre di cose infinitamente piccole e infinitamente grandi. Chi studia le stelle, fa così. Perché c’è un’unica teoria che accomuna tutto. E poi aveva questa cosa bellissima: metteva in discussione ogni cosa, anche le sue stesse pensate, di qualche ora prima. “Perché l’unica certezza che abbiamo nella vita, è solo la velocità della luce. Quella sola è insuperabile, e basta”.
-E’ sul sito di Vanity Fair, clicca qui
-Questo il link per ritrovare l’ultima intervista che le feci
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