Nell’Essex inglese, il racconto della “Non League”: qui agenti e procuratori non entrano
Questa è una storia di migrazione, è una storia di percorsi negati in patria, è una storia di coraggio, è una storia di panorami lunghi come solo l’Essex inglese sa far guardare. Perché ci sono tanti italiani che stanno trasferendosi nell’Inghilterra orientale, con il solo scopo di giocare a calcio. Ventenni, o poco più, a cui il sistema calcistico italiano non rende giustizia. Perché i sogni, qui, sono un’altra cosa.
Gli ultimi dati dell’Office for National Statistic parlano di un aumento del 300 per cento degli italiani diretti nel Regno Unito, metà si stabiliscono a Londra e l’altra metà nelle zone tipo l’Essex. Attualmente sono più di 650 mila gli italiani in Inghilterra: nell’ultimo anno 44 mila nuovi arrivi, e il 60 per cento con meno di trentacinque anni. A volte si legge sui quotidiani degli imprenditori, che trovano terreno fertile per far crescere i propri lavori nella Tech City, ma non si parla di questi calciatori. Loro, se sono bravi, trovano facilmente una squadra nelle categorie della “Non League” inglese, per poi proseguire con merito nel loro percorso. Senza procuratori, senza agenti, perché sono proprio queste figure che non vengono fatte avvicinare ai campi dei club della “Football Conference”.
Si tratta di una vera e propria migrazione, che non viene affatto raccontata. Perché alza il tappeto. E come tutte quelle storie che alzano il tappeto, portano con sé il racconto dettagliato di quella roba finita lì sotto. “Cose a cui il potete precostituito, le caste, gli agenti, i procuratori, gli uomini di malaffare che ruotano a frotte intorno al nostro calcio, anche nelle categorie minori, cercano a tutti i costi di non tirare fuori”, la voce che sentite è di Enrico Tiritera, il primo allenatore italiano arrivato in Inghilterra, prima di Ranieri, prima di Mancini, prima di Zola.
Dunque, i campionati della “Non League” inglese sono una cinquantina, è come se fosse l’unione tra le nostre Lega Pro e Serie D, ma con molte più squadre, e tornei. Qui nel raggio di 20 miglia trovi 50 squadre, ciascuna con il proprio campo e il proprio seguito di tifosi. I ragazzi fanno un provino, se sono bravi hanno un contratto, e lo stipendio si aggira all’inizio intorno ai 1.500 euro. Nei primi tempi, per l’alto costo della vita in Inghilterra, molti fanno anche un secondo lavoro. Anche dietro un bancone, se serve. Macchine del caffè la mattina, una stanza in affitto in zona 3, la metro per andare al lavoro, il campo la sera. Si tratta di un compromesso. Si tratta di una fuga, punto.
“In Italia non è possibile più giocare a calcio. Ti fanno perdere l’entusiasmo. Troppa gente ci mangia e ci specula. Chi vuole giocare per il puro gusto di farlo deve venire in Inghilterra”, Lorenzo Burla è uno di questi ragazzi, 22 anni, viene da Montefiascone. Ha lasciato l’Italia, l’ultima squadra in cui giocava era l’ASD Nuova Monterosi, in provincia di Roma, “che ha degli arretrati non pagati, facevano come tante in Italia, nessuno paga più”. Sta iniziando un corso di graphic design, e conta di fare questo come secondo lavoro. Per lui c’è il Concord Rangers ad aspettarlo, lo stipendio è sulle 300 sterline a settimana.
I contratti con un club di “National League System” non sono in esclusiva: un ragazzo rimane l’unico detentore del proprio cartellino, e quindi può accordarsi per avere anche due, addirittura tre contratti con altrettanti club. “E’ tutto fatto con grande serenità, e con grande serietà. Basta che gli allenatori dei club dove gioca il ragazzo siano d’accordo sulla presenza o meno il giorno della partita. Per quel che riguarda gli allenamenti: sono i ragazzi i primi a volerli fare! Perché la cosa più importante qui è giocare a calcio, e basta”, continua Enrico, allenatore nell’Essex dai primi anni 90. Ha dovuto anche lui fare i conti con i malfattori che in tutte le maniere hanno cercato di avvicinarlo, o fare movimenti strani in questo sottobosco inglese che in pochi raccontano. “Vengo da Ariccia, Castelli Romani, conosco il mondo del calcio italiano e il modo di fare diffuso, io qui ho ricreato un mondo ideale, dove si rispettano i valori del calcio genuino, sano. Mi circondo solo da queste persone. Basta vedere come ho iniziato a fare l’allenatore qui: ho messo un annuncio su un quotidiano free press dell’Essex, e mi ha risposto un club dilettantistico, abbiamo vinto la coppa di Contea dopo pochi mesi. In quegli anni è nata la Premier League, e quindi non esisteva ancora una mentalità calcistica che ruotava intorno al denaro, all’arricchimento personale. Ora solo fuori dalla capitale è tutto rimasto come un tempo. Nessuno qui vuole sentire parlare di Chelsea o Arsenal. Quando sono arrivato qui, gli inglesi erano piuttosto indietro sulla tecnica degli allenamenti. Durante la settimana, scendevano in campo solo un paio di volte. Ho iniziato a farmi inviare cassette dall’Italia, provando a dare qualcosa in più e di diverso rispetto alla loro pratica sul campo. In 25 anni mi sono tolto tantissime belle soddisfazioni, come nel 1999 quando con il Romford riuscimmo a eliminare il Dagenham & Redbridge dal quarto turno di qualificazione di FA Cup. I tifosi mi conoscono, per le strade non riesco a fare dieci miglia senza fermarmi a salutare qualcuno. Perché qui dopo la partita si sta insieme, si mangia, si griglia”. Ora Enrico sta cercando di riunire in un’unica squadra i calciatori italiani più forti presenti sul territorio, il lavoro è grande, ci sta lavorando già da un anno a questo progetto: si chiamerà Fc Italia, e militerà in NLS naturalmente.
Dovete immaginare la scena: stadio del Billericay, per arrivarci devi prendere la Greater Anglia da Stratoford o Liverpool Strett, ci mette 35 minuti spaccati. La partita che sta per iniziare è contro il Merstham. Pure il clima è quello inglese: cielo basso, grigio, pioggerella continua e delicata. E poi ci sono gli spalti: c’è gente che canta già da un’ora, ci sono gli striscioni, c’è chi è alla terza pinta. A seguire la partita c’è anche Tomasz Caracciolo, 23 anni, in prova nel club. Viene dalla squadra ASD Orizzonti in provincia di Torino, si è appena trasferito: “Sono ancora in ritardo con i pagamenti, chissà se vedrò mai quei soldi. In Italia non c’è prospettiva per chi non è figlio di qualcuno, o per chi sceglie di non avere un agente o un procuratore. Queste figure servono solo a sopperire alla mancanza di qualità in campo: i calciatori bravi dovrebbero poter non averli. Invece, in Italia non si può. Qui, sì, è la norma. Qui se sei bravo prosegui, vai avanti. Vali per quello che dimostri sul campo”. Come secondo lavoro serve crepes in una pasticceria, potrebbe andare al Brentwood Town, stipendio medio sulle 400 sterline a settimana. Vive a Southend on Sea, l’orizzonte che si vede da casa sua è quello delle scogliere stratificate, solo acqua e terre a strapiombo per chilometri, anche il clima è quello inglese, e pure i sogni.
E’ SUL FATTO QUOTIDIANO di oggi, 2 pagine bellissime!
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