Su Robinson, l’allegato culturale di Repubblica, c’è una storia che ho scritto io!
Su Robinson, l’allegato culturale di Repubblica, di domenica 10 giugno 2018, c’è un mio racconto in pagina…
La storia che vi racconto oggi è una storia di cambiamenti, di sogni, di opposti, di metafore e di sconfitte. Tutte parole che mi piacciono tantissimo, soprattutto se messe in una sola frase. La prima parte della storia si svolge nei primi anni del 1900, la seconda oggi, in mezzo c’è la fisica e il calcio, e chiunque può vederci dentro quello che vuole. Dunque, iniziamo.
Copenaghen, giugno, sera inoltrata. Gli spalti del campo di calcio della città erano gremiti di persone. C’era apprensione nell’aria, e non solo nell’aria, e non solo apprensione. L’Akademisk Boldklub stava per affrontare una partita di calcio contro una selezione internazionale, perché un osservatore voleva portare i talenti nella nascente squadra Nazionale. La partita ebbe inizio. Un po’ come un bambino che scende in cantina e si mette a fischiettare per fingere di non aver paura, Niels Bohr stava tra i pali della squadra di casa, il suo ruolo doveva essere quello di parare. Parentesi: Niels Bohr, danese, fisico, Nobel nel ’22, antagonista di Einstein nella creazione della fisica quantistica (e protagonista del mio ultimo romanzo “Hotel Copenaghen”, Salani, 302 pagine, 15.90 euro). In quella partita, però, dopo pochi secondi Bohr prese il primo gol (ecco infranto il record dell’inglese Bryan Robson in Spagna ’82), e mai parò un tiro, anzi dovettero interrompere la gara alla fine del primo tempo perché, avendo gli uomini contati in campo, aveva preso già diciotto gol. Andarono a bordocampo a intervistarlo, per chiedergli il motivo di tanta disattenzione (neanche Goycoechea alle qualificazioni di Usa ’94), e lui rispose placidamente che lavorava bene solo sotto tensione, e quel giorno si erano ricreate le condizioni al contorno perfette, così si mise a fare i calcoli scrivendo su un palo di un problema matematico che coinvolgeva le grandezze fisiche pensate come uomini di una squadra di calcio. E con un sospiro di soddisfazione che ha un cane quando, dopo essersi girato varie volte su se stesso, trova finalmente la posizione, Bohr si mise a fare solo il fisico e con il calcio morta lì.
Una figuraccia che i danesi ricordano bene, anche perché la loro Nazionale faticò a formarsi e nacque molti, moltissimi anni dopo (perse sempre, perse tutto quello che poteva perdere fino a Germania ’74, e poi perse anche lì, ma poi negli anni ’80 la prima luce). Oggi, però, spavalda, la Danimarca giocherà i suoi Mondiali. Dicono sia una squadra ben costruita, frutto di un lavoro accurato. E come due mattoncini Lego (sono danesi, certo) che si incastrano alla perfezione, noi e loro vivremo questi Mondiali. Noi e loro, opposti in tutto. Noi che partiamo subito con il botto nei mondiali del ’34 e ’38, noi che ci vantiamo delle quattro coppe vinte, noi che Zoff, Gentile, Cabrini…
Una volta Max Born, il fisico tedesco della scuola di Gottinga, Nobel nel ’54, andò a trovare Niels Bohr nella sua casa di campagna a Tisvilde e sulla porta vide appeso un ferro di cavallo; quando Bohr aprì, Born gli chiese stupito cosa ci facesse lì quel talismano (noi fisici detestiamo scaramanzie, oroscopi e altre scemenze di questo tipo), e Bohr gli rispose: “Mah…dicono che funzioni anche per chi non ci crede!”. Ecco un altro valido motivo per raccontare di Niels Bohr, e per tifare Danimarca a questi Mondiali. Bohr a noi italiani fa molto sorridere, come ci facevano sorridere le nazionali outsider che si qualificavano nei vari gironi, quando i Mondiali li giocavamo anche noi: oh poverina la Bolivia del ’94, ah che ridere la punizione al contrario di Mwepu nel ’74, e quei numeri di maglia dello Zaire che si staccavano?, uh che tenerezza le scarpe senza tacchetti di certi sudamericani lontani.
La Sirenetta (danese, ovvio) è disperazione, è attesa, è sconfitta, è quello che siamo noi a questi Mondiali, e – come lei – dopo anni di buone azioni avremo la possibilità di riavere un’anima. Ma più avanti, quando cambieranno veramente le cose. Per il momento, guarderemo gli altri giocare. E come Amleto (sì, sta sempre a Helsingor, a nord di Copenaghen, e sta bene lì), vivremo la nostra tragedia. E come le più belle favole di Hans Christian Andersen (danese, chiaro), in campo vedremo gli altri sognare: l’Egitto di Salah, il Senegal di Keita, l’Islanda.
Ma vuoi mettere tifare la Danimarca di Eriksen. Noi e i danesi, i due colori principali di un caleidoscopio, la forza centripeta che si oppone alla forza centrifuga. Noi lo Yin loro lo Yang, noi l’Uranio 235 loro l’Uranio 238, i protoni e gli elettroni, lo 0 e 1 del codice binario, campo elettrico e campo magnetico, il doctor Who con il suo Tardis (quest’ultima citazione è per pochi nerd, lo so). Gli opposti che si attraggono: forza Danimarca, io – da fisica – non posso che tifare per voi.
Ah, ultima cosa. Niels Bohr era una di quelle persone che avevano la capacità di divertirsi tra sé e sé senza perdere la serietà esteriore. Non mi dite che lo state facendo anche voi, perché non ci credo.
(gabriella greison)
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