Il mio reportage tra le donne di Abu Dhabi, vestita con burqa e abaya (sul FattoQuotidiano)

Uno studio dell’università di Dubai pubblicato su Bloomberg mostra che l’unico mercato in crescita vertiginosa e costante da dieci anni ad oggi è quello della moda musulmana. Si rivolge a 1,8 miliardi di musulmani in tutto il mondo. Secondo Thomson Reuters, la moda musulmana due anni fa ha raggiunto i 224 bilioni di dollari: il secondo più grande mercato globale dopo quello degli Stati Uniti, che raggiunge 494 bilioni.

Va bene, tutto molto curioso, ma il problema per me è anche solo immaginare cifre di questo tipo. L’unica maniera per renderle interessanti è avere un confronto con la pratica di tutti i giorni, con la vita quotidiana. Per questo mi sono vestita con abaya nero e burqa, e ho passato tutto il giorno con le donne musulmane di Abu Dhabi. Per capire cosa fanno, cosa dicono, come spendono, come si comportano sotto i veli. Dunque, colazione all’alba al Marina Mall, sul mare, popolatissimo, perché uno snodo comodo per i mezzi pubblici. Cinque donne musulmane sono sedute ai tavolini, mi siedo con loro, non trovano per niente strano il mio abbigliamento, anzi approvano. Una delle prime cose che fanno è mostrarmi la differenza tra il mio abaya (la tunica nera che copre dal collo ai piedi) e il loro. C’è quella con i ricami fatti a mano, quella di seta che pare avere tra le mani zucchero a velo, quella con pietre preziose incastonate, ma è quella internamente rivestita d’oro (dall’esterno non si vede niente) che mi colpisce. Oro lavorato con la stoffa, al tatto nemmeno troppo morbido, e di una brillantezza accecante. Non hanno solo oro come decorazione dei loro vestiti, i ricami richiamano forme e sagome citate nella Sura, le stesse scendono lungo il burqa ad accompagnare il viso. Mi dicono quanto hanno speso per il loro abbigliamento e capisco. Anche 20 mila euro. “E’ un segno distintivo, come a voler mostrare il nostro valore. Non siamo tutte uguali”, mi dicono. Le borsette le tengono sotto la tunica, sono per la maggior parte Luis Vuitton, così come i bracciali e le collane e gli abiti haute couture. Mi incuriosisce il loro trucco, perfetto fino al millimetro, pare un dipinto, un’opera d’arte. Passeggiata lungo la Corniche, come fanno molte donne musulmane che incroci. I rituali sono gli stessi per tutte, e quando parli con loro ti mostrano quello che hanno sotto. Incrociano lo sguardo di un uomo, e i loro gesti diventano sensuali ed ammaliatori.

Centro estetico, metà mattina. Qui le donne ci restano anche quattro o cinque ore. Appuntamenti fissi tre volte la settimana. Sotto il burqa i loro capelli sono una scultura elegantissima. Costo per trucco e parrucco anche sui mille euro. Usano creme e lozioni con estratti di ostriche, di siero di vipera, e l’immancabile oro. Oro coprirughe, oro liftante, oro snellente. Il prezzo sale a 5 mila euro per trattamento. Tra di loro parlano continuamente delle ultime novità, e come si sono trovate con la cura precedente. Ora la moda più in voga è quella della chirurgia estetica, un mercato che sta spopolando tra le donne degli Emirati, Libano e Qatar. Organizzano viaggi per andare in un centro di Dubai con 1700 medici e 90 cliniche, chiamato Healthcare City. Ci deve essere sempre l’uomo che accompagna la donna e garantisce all’ingresso per lei. Parlano di queste ricostruzioni di guance o seno entrando nel dettaglio dell’operazione più recente subita, come da noi dall’estetista si parla dell’ultima preparazione dell’amatriciana sorprendentemente venuta bene o le varianti della lasagna al forno. Pranzo al volo in un bar con tavolini esterni, mi unisco ad altre donne. Argomento di discussione è il trucco di Haifa Wahbi paragonato a quello di Nancy Ajram, salvo poi approvare quello di Alissa visto su una rivista. Tre pop star, modelli delle donne mediorientali. Queste mi mostrano le scarpe, due hanno tacchi vertiginosi, e poi la tunica che arriva a sfiorare il pavimento. Mi raccontano di dover lavorare per l’Expo 2020 di Dubai. Saranno le donne a presentare tutti gli incontri, a loro spetta il ruolo di maggior rappresentanza, quando si tratta di convention internazionali. Sempre a Dubai, anche il Golden Soccer di fine dicembre sarà interamente presentato dalle donne, che a fine manifestazione leggeranno i dati che riguardano lo sviluppo del paese. Le donne arabe seguono corsi durante tutto l’anno ad Abu Dhabi per avere una pronuncia e una dialettica molto fluida, in modo da poter essere scelte per le letture iniziali e finali di tutti i convegni.

Mangiano molto, ordinano anche più di quello che sono in grado di finire, alzano il velo con le mani solo quando stanno per mettere la forchetta alla bocca, e poi lo riabbassano subito. Appena finito di mangiare passano ancora dall’estetista per ritoccare il trucco, se serve. Scendo verso il centro città, passando per il souk. Ad una bancarella di vestiti sportivi chiedo informazioni ad una donna sullo sport come pratica professionistica. Si crea subito un capannello intorno a me, e ci tengono subito a ricordare che alle Olimpiadi di Londra 2012 sono state ammesse per la prima volta le donne con il burqa alle competizioni. Ora sperano in Rio 2016. Proseguo nel Madinat Zayed, il centro commerciale, tutte sono indaffarate negli acquisti più costosi. Ceno in un ristorante vicino. La regola per ogni azione di una donna vestita con le regole dell’halal è che gli uomini che si trovano nelle vicinanze devono aprire portiere della macchina, spostare le sedie per farle sedere, chiedere se hanno bisogno di qualcosa, anticiparle insomma. La televisione accesa nella sala mostra telegiornali alternati a una serie tv con protagoniste musulmane. Vicino a me quattro donne che la guardano, mangiano, danno un’occhiata al Madinat che si intravede fuori dal vetro. Sanno riconoscere stoffa, tessuti, ricami, intarsi preziosi nell’abaya e nel burqa di chi è inquadrato dalla tv. Sanno quanti uomini ci sono in sala e cosa hanno ordinato. Sanno fare il conto dei soldi spesi di chi esce dal centro commerciale difronte nei primi 5 secondi di sguardo complessivo. 

 

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leggi anche/sullo stesso argomento ho fatto un altro reportage un anno fa (questo il link) sui Mondiali 2022 in Qatar

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