Il bar Vezio: ricordi di un tempo politico (e sportivo) passato

In via di Tor di Nona stanno per essere smantellate le ultime tracce del bar Vezio. Gagliardetti, striscioni, poster, immagini di un tempo (politico) passato: sparirà tutto, e – come ci dicono dal palazzo – probabilmente quel bar diventerà una profumeria. Niente di più lontano, da quello che ha rappresentato, e da ciò che si annusava dentro realmente. Da via del Delfini, si era trasferito qui, nel 2003, a pochi passi da piazza Navona. Poi, nell’aprile del 2011, il proprietario, appunto Vezio Bagazzini, è morto. Quel che resta di quel bar, è chiuso dentro gli ultimi scatoloni, “perché tutta la via sta per essere ammodernata, comprese le facciate delle case”. Di passaggio da quelle parti, l’occhio cade sugli ultimi oggetti, e la memoria va indietro, a quella volta che lo avevo incontrato…

 

C’è una foto. Bella foto in bianco e nero. E c’è una squadra di calcio che attacca (confusamente, ma attacca). Magliette aderenti, un campo di terra battuta. Gli anni Settanta che finiscono: i giornalisti dell’Unità e i dirigenti politici del Pci che giocano a fare i calciatori. D’Alema, già con i baffi, e già regista. Angius, a testa alta (ma con i capelli), il libero. Mussi, ala destra (anche se, lo raccontano tutti, calcia solo, ossessivamente con il sinistro). Veltroni (vai a capire), il portiere. E’ un 31 dicembre, cielo basso, l’aria umida. La pioggia cade fitta. Ugo Vetere, per la cronaca, è il sindaco di Roma (perché è qui, che si gioca).

“Ormai quella foto è solo un ricordo”: questa è la sua voce, la voce di Vezio, che per quarant’anni ha avuto un bar tra via delle Botteghe Oscure e piazza Campitelli, e che qualche anno fa avevo incontrato per un reportage sui posti che hanno fatto la storia (politica) della Capitale. Enrico Berlinguer, da lui, ci andava a prendere il caffè (<ogni mattina, puntuale, metodico: mezza parola per chiederlo, e sempre dicendo per favore, e poi ringraziando, con un sorriso, dicendomi che era squisito, praticamente una crema…>); ma pure gli altri giovani dirigenti romani del Pci dell’epoca, in fila, dopo di lui, che pure si fermavano lì, al bancone: politica e calcio, non pensavano solo a vincere le elezioni, ma anche le partite.

<Da quando mi sono trasferito qui, sul Lungotevere, non ho perso solo quella splendida fotografia, con i compagni calciatori sudati, ma anche tutti quegli amici che mi venivano a trovare, e con cui parlavo di lotta operaia e di pallone… anzi, forse soprattutto di pallone>. Vezio, oltre che barista, era anche l’arbitro ufficiale di tutte quelle partite, organizzate tra una riunione di partito e l’altra. Lui, che avevala Romanel sangue, e la tessera rossa (ora fa un po’ strano vederla, ma aveva una grafica elegante e solenne, e anche questa foto era appesa nel suo bar) nel portafoglio fino all’ultimo.

<Berlinguer, il sabato mattina, giocava a Villa Ada. Calciava molto bene di destro, ironia della sorte.…>. Era tifoso della Juventus. Quella di Zoff, Furino, Capello e Cuccureddu. <Ma la sua scorta, me lo ricordo bene, era tutta di fede laziale, e così era costretto ad andare a vedere, allo stadio, le partite della Lazio. Quando Ciccio Cordova, capitano della Roma, cambiò maglia, Berlinguer fu l’unico ad essere contento in questa città…. Era il suo giocatore preferito. Gran tocco di palla, poca voglia di correre ma sempre un’idea in mezzo al campo, sempre un’ispirazione estrema, un momento di poesia, sempre il coraggio di una giocata non scontata e forse impossibile… a Berlinguer, uno così, pareva facesse comizi calcistici>.

Ciccio Cordova, capitano della Roma degli anni ’70: sposò Simona Marchini, figlia di Marchini il costruttore, che edificò in via delle Botteghe Oscure il “Bottegone” (sede storica del Pci) e che poi divenne presidente della società giallorossa.

Walter Veltroni, Piero Fassino, Fabio Mussi, Massimo D’Alema, Franco Giordano (che poi, dopo ogni doccia, sarebbero tornati a varcare quel portone grande e austero): ora li vedete allo stadio, tribuna d’onore, tra le autorità che fanno il tifo. Ma c’è stato anche un momento in cui al pallone, appunto, ci hanno giocato davvero. <Che grande passione, canada pharmacy online rx quella per il calcio>, ricordava sempre Vezio.

Ma, loro, non si preoccupavano certo per questa loro passione. <No, infatti: tutt’altro. Il momento della partita era vissuto come uno svago, menti libere dai pensieri. Finivano una direzione del partito, ragionavano su una crisi di governo, incontravano i dirigenti della Cgil, mettevano a punto una strategia per contrastare il potere democristiano… ma poi, ecco, c’era il pallone, c’erano le partite. Ne ricordo alcune, giocate in un campo vicino alla villa di Luigi Longo, a Lanuvio. Gavino Angius, che ancora se ne sta lì, alto e tonico… beh, all’epoca era sempre tra i più in forma: giocava difensore centrale. Il suo stile? Direi a metà, un po’ Materazzi, un po’ Mexes, anche se forse Mexes ha più piede, più tocco di quanto ne avesse Gavino…>.

Vezio parlava sempre piano. Quasi per concentrarsi, per far affiorare meglio, e più nitidamente, le immagini di un tempo. <Ma anche Fabio Mussi faceva delle grandi giocate… Ora che ci penso… Anche fisicamente, sa chi mi ricorda? Camoranesi. Baricentro basso, facilità di tocco, quel suo modo di stare in campo ondeggiante, imprevedibile… Che tempi… Ricordo che un giorno, prima di andare a Frattocchie, dove c’era la scuola-quadri del partito poi passata alla storia, arbitrai una loro partita contro la vigilanza: ora, lasciamo stare chi erano i calciatori della vigilanza, perché la vigilanza del Pci è leggenda… militanti più simili a dei monaci, gente grande e grossa come un armadio che era pronta a immolarsi pur di difendere l’ultimo dei dirigenti… beh, insomma, stavano giocando dirigenti contro vigilanti e siccome il risultato continuava ad essere in parità, fischiai un rigore inesistente a favore dei vigilanti che, secondo me, come dire? Se lo meritavano…>. Tra i pali, Veltroni. <E Walter, non agilissimo neppure in quegli anni giovanili, e non me ne voglia, sia chiaro… non riuscì neppure a vederlo, il pallone>. Vezio rideva sempre di gusto, quando ricordava questo aneddoto. <Se la legò al dito….>.

Poi, però, arrivò il giorno della vendetta. <Certo, perché in realtà, lui, Walter, se è vero che non era molto agile tra i pali, aveva un gran senso della posizione… Qualità che, credo, gli sia poi tornata piuttosto utile negli anni a venire… Per dire: se le cose non andavano come aveva in testa lui, richiamava sempre i compagni. Organizzava il gioco della difesa, e Dio solo sa se ce ne sia bisogno anche in questi giorni… e comunque ci sapeva, e credo ci sappia ancora fare. Quella volta, comunque, ricordo che si arrabbiò molto, perché i suoi facevano troppi falli a centrocampo, e fermavano il gioco. Una volta giocarono a villa Abamelek, all’ambasciata sovietica: Franco Giordano, baricentro basso, veloce di gambe, un tipo alla Pizarro, fece una grande partita: era uno tenace, che non mollava mai. Che si buttava su tutti i palloni, caparbio, ma con una buona visione di gioco. E poi, beh, c’era Massimo>.

A questo punto, ricordo che gli occhi di Vezio si illuminarono. Era il suo grande amico. <Massimo D’Alema giocava da centrocampista avanzato. Aveva un bel dribbling. E una passione sfrenata per i brasiliani: il suo preferito era Falcao. Voglio dire che ci metteva classe, e tenacia. Anzi, se posso aggiungere: con la grinta che metteva in campo, faceva paura a tutti… un po’ come adesso, credo, o no?>.

Oggi, in tribuna Monte Mario, Massimo D’Alema si siede accanto ai dirigenti americani della Roma. Dicono che, per arrivare in tempo allo stadio, le sue riunioni finivano, a volte, quando sono in prossimità delle partite, sempre un po’ prima. E non solo: raccontano pure che un pomeriggio, fuori dall’Olimpico, incontrò alcuni ultras del Perugia. E lui, D’Alema, era lì che si avviava verso l’ingresso autorità indossando la sciarpa della Roma, e mai la tolse, anche quando dovette salutarli da vicino.

<Loro… Massimo e Walter, Fabio e gavino e tutti gli altri sanno bene che, quando vogliono ricordare i tempi passati, possono sempre entrare nel mio bar. Guardate quante foto ho ancora appeso sulle pareti… Qui, c’è Antonio Rubbi, anche lui giocava in porta, come Veltroni, ma con senso della posizione meno spiccato. E poi ecco Massimo Cervellini e Antonio Cavicchia, due marcatori di fascia. E poi, ancora, Ermete Realacci, Roberto Morassut, Antonio Rosati, Carlo Leoni, Michele Civita, Fabrizio Vicchetti… tutti grandi appassionati di calcio, e all’epoca praticanti>.

Ma il racconto che Vezio faceva con maggior divertimento, è quello della partita più bella a cui ha assistito, e di cui mi ero fatta raccontare ogni dettaglio: <La partita che ricordo con maggiore entusiasmo, come fosse un filmato impresso nella memoria, è “Piombo Rosso” contro “Sdegno Democratico”. Piombo Rosso, il nome della squadra dei tipografi dell’Unità, dal colore dell’inchiostro della testata… mentre Sdegno Democratico era la formazione dei giornalisti la cui redazione era di via dei Frentani, a San Lorenzo… Era la partita di fine anno, una domenica mattina. Le due squadre avevano dei rinforzi, un giocatore serio per parte: Ciccio Cordova, da una parte, e Stefano Pellegrini dall’altra. I due, professionisti, educati, gentili, non facevano sentire il peso della loro bravura, anzi: aiutavano i compagni nelle marcature, correvano per loro. Il risultato finale fu di parità: 4-4. Però ricordo una litigata di Mussi e Angius, e poi non posso dimenticare Luigi Cancrini, lo psicoterapeuta, che giocò una grande partita… ma…>. Ma? <Beh, devo dirlo: Walter Veltroni, in porta quella volta, fece tante di quelle scivolate che…>.

In quella partita, che ricordava Vezio, i gol a Veltroni li fece tutti Ciccio Cordova. Il campo si chiamava ancora Stadio delle Aquile. La pioggia, per la cronaca, cadeva fitta. Come in questa giornata in cui le ultime immagini di quel bar stanno per scomparire, forse, per sempre, dentro una profumeria.

E’ sul sito di Pubblico

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