Quella squadra di calcio in posa. Intervista a Teodoro Buontempo…

C’è una foto. In bianco e nero. C’è una squadra di calcio in posa. Magliette aderenti, un campo di terra battuta. Gli anni Settanta che finiscono: i giornalisti del Secolo d’Italia, all’epoca quotidiano dell’Msi, che giocano a fare i calciatori. Fini, già regista. Storace, il libero. Gasparri, lo stopper: «Io, a dir la verità, giocavo in difesa perché avevo poco fiato ed ero tra i più scarsi nella corsa», mi ha detto una volta Gasparri.

L’allenatore era Teodoro Buontempo, deputato, dirigente Msi, poi An, ora La Destra. Al gioco a zona di Zeman, Liedholm o Sacchi, preferiva quello a uomo: Helenio Herrera e Gigi Simoni, i suoi ispiratori. «Chiedevo ai ragazzi di marcare stretto. Puntavo tutto sul contatto fisico». Di contatti fisici, in quegli anni, ce ne erano molti anche fuori dal campo di gioco. «Infatti, cercavo di farli correre tanto. Erano gli anni ’80. Dovevano essere in forma sia per le partitelle domenicali, che per le manifestazioni del partito. In quel caso, si scappava dalla polizia o dalle aggressioni….».

La redazione del Secolo d’Italia era in via Milano. «Dopo le partite ai campetti dei Parioli, o al Flaminio, ricordo cene memorabili. Al ristorante dei fratelli Crisciotti andammo a mangiare anche dopo aver scattato la famosa foto della squadra. In piedi, il secondo da sinistra è Mauro Mazza, ora dirigente Rai: un buon portiere, manteneva sempre la calma. Accanto a lui, Maurizio Gasparri: non stava fermo un attimo. Poi, Francesco Storace: robusto anche allora. Gianfranco Fini, invece, è il secondo seduto da destra: aveva il numero 10. Grande ispiratore di gioco, manovrava l’attacco, qualche assist alla Totti. Litigava sempre con Gasparri. Già gran tifoso della Roma».

Una vecchia leggenda metropolitana raccontava: i romanisti sono compagni e borgatari, i laziali invece sono “fasci” e pariolini. Ma poi, i due personaggi più in vista della destra capitolina, Maurizio Gasparri e Francesco Storace, sono tutti e due romanisti e praticanti.

Allora, Teodoro Buontempo, come la mettiamo con questa divisione oggi, tra romanisti e laziali?

“Sì, certo, quel modo di dire c’era ed esiste ancora. Ma io, le devo dire la verità, non sono mai stato tifoso di calcio…”.

Oggi i politici non giocano più a calcio…

“No, no, no. I tempi sono cambiati. Allora, ai miei tempi, la politica era una cosa seria. Era una cosa bellissima. E lo è ancora adesso, una cosa bellissima. Seria, importante. E il calcio era il diversivo, il momento di svago. Il mio sindaco di Roma preferito è sempre stato uno solo: Petroselli. E lui aveva Roma bella come non mai. Allora, i politici attivi con me, erano Berlinguer, Almirante. Uomini d’altri tempi. Quando morì Almirante, il primo a venire a trovarlo in via della Scrofa, fu Pajetta. Senza scorta. La seconda fu Nilde Jotti. Nemici sul campo, ma fuori: rispetto, eleganza, amicizia incondizionata”.

Senta, Fini? Oggi come sta? Un tempo era un regista eccezionale, no?

“Male, molto male. Dopo queste elezioni. Sono felice che le cose siano accadute esattamente come io le avevo prospettate. I vari Fini, Casini, Alemanno, eccetera, hanno voluto fare quel passo che gli permetteva di uscire loro, e invece… Vede, Fini è stato quello che ha voluto chiudere il Movimento Sociale, eppure a livello politico non andava male. Poi, An. Ma adesso che hanno visto risorgere Berlusconi, dopo le regionali, loro hanno detto: “questo ci seppellisce tutti”, e quindi si sono attivati, finendo male, molto male. Ma a Berlsuconi ero stato io, per primo, a consigliare di fare quello che ha fatto. A lui bisogna riconoscere l’abilità, la generosità. E gli italiani lo hanno votato: il voto dell’opinione pubblica lo prendi se riesci a trasmettere dei messaggi. Solo lui ne ha trasmessi…”.

E la sua Destra? Ha preso pochi voti…

“Eh certo, da soli, erano quelli i voti che potevamo prendere. Ci sono stati i colpi gobbi dei nomi che già le ho fatto. Ma senta, secondo lei, a guardare gli altri, cosa pensa la gente? Ha presente Ingroia? Se la mattina incontri Ingroia per strada, mammamia, ti spaventi, non dici mica “Oh che bella giornata”: no, lo vedi, e ti viene voglia subito subito di tornare a casa e rimetterti a letto sotto le coperte. E se incontri Casini? Urlava e strillava solo, ultimamente. Che fastidio. E se vedi Vendola in strada? Santo cielo…”.

Gli onorevoli fuori dal Parlamento per colpa dei grillini, che dicono?

“E che dicono?! Bisogna riconoscere che c’è una volontà popolare che ha voluto tutto questo, mica una persona sola. C’è stato un movimento che ha mosso tutte le carte. C’è in atto una grossa protesta, a cui bisogna dare ascolto. Il ceppo è popolare, quindi importane. Non giudico chi viene messo sul piedistallo. Ma dico che i temi che si trattano sono già stati sviluppati da me altre volte…e così le modalità di diffusione”.

Parla dei suoi tempi, dei tempi del Movimento Sociale?

“Esattamente. Noi eravamo quelli che protestavano, che animavano le piazze, che hanno preso il 32,2% alle elezioni. Noi portavamo avanti esattamente le questioni care a Grillo e ai grillini. Comunque, tutto questo si è già visto: la storia si ripete. Prima noi, poi c’è stata la Lega: non dimentichiamoci che i leghisti venivano trattati esattamente come vengono trattati i grillini oggi: tutti lo consideravano ignoranti, senza basi, e poi si sono costruiti da soli. L’esperienza te la fai, in Parlamento: basta che prendi la politica seriamente”.

Il grido di Grillo, che ha ripetuto per l’ennesima volta la sera in piazza San Giovanni, “Arrendetevi, siete circondati!”, è suo…

“Sì, è mio. Ero andato in piazza Montecitorio a manifestare, eravamo in tanti, erano gli anni di Tangentopoli, e ho pure rischiato la condanna per interruzione di attività istituzionale: mi ha salvato il fatto che dalla ricostruzione fatta di PM io nel momento di ressa mi sono buttato in mezzo ai carabinieri, come dire…”.

Come i grillini oggi, lei quando iniziò a fare politica si trasferì a Roma senza una lira…si racconta che dormiva in una 500 color amaranto, targata Chieti. Per tre anni.

“Ma che bel ricordo! Sì, mi fa piacere evocare quel periodo. Certo, era una bella piazza, c’era una bella veduta su Roma, e io ero figlio di operai, disoccupato, così pur di fare politica, e di stare a Roma, abitavo nella mia macchina: salita di Valle Giulia, dietro Architettura, piazzola a sinistra dopo la fontanella. C’era un bel panorama, aria buona, Villa Borghese alle spalle. Bevevo, mi lavavo e mi facevo la barba alla fontanella. Avevo un doppiopetto che mi aveva fatto un amico sarto, che la sera piegavo e appendevo nell’attaccapanni della 500”.

Da qui, il soprannome di Er Pecora?

“Venivo da Ortona a mare, era l’ottobre del 69. Mi pagavo l’università facendo il cameriere. Andavo a lavorare la sera verso le sette, finivo alle tre di notte. Poi, successe che mi gettarono la bottiglia incendiaria dentro. Poi i missini fecero una colletta e mi regalarono un Maggiolino Volkswagen tutto scassato: anche lì dentro ci passai notti e notti e notti. Ma era come passare da un monolocale a un villino”.

Torniamo a parlare di politica del passato…di quando i politici si sfidavano a calcio. Ricorda la squadra del Pci?

“Ah, erano forti. Mi faccia pensare bene…beh…ecco, sa una cosa? Già allora Veltroni era scarso. Lui andava al cinema. E non sapeva giocare a pallone. Infatti, lo mettevano in porta. Al cinema, lui andava al cinema. Berlinguer, beh, invece, era eccezionale: era fortissimo. Ricordo quella volta che…”.

 

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