Al Coni, nella lunga giornata per l’ultimo saluto a Pietro Mennea
Subito dopo la curva, dove prima spuntava Mennea, ora arriva la gente. Anche se ti aspetti sempre che il primo sia lui. Pure qui, in questa strada che porta al Coni, dove nella Sala d’Onore è stata allestita la sua camera ardente. In questa strada dove si allenava, dove correva, che faceva tutta d’un fiato per arrivare allo stadio dell’Acquacetosa, ultimo palcoscenico della sua carriera da apripista. Ora – sono le nove del mattino, il cielo è alto, azzurro – tutti aspettano un’altra cosa. Ma il tempo scorre, il traguardo – questa volta – lo taglierà per ultimo: il traffico di Roma, lo sciopero dei mezzi, dall’obitorio della clinica di Villa Salaria di Prati Fiscali, la sua bara tarda ad arrivare. Nel frattempo, vedi le facce delle persone che sono venute a dargli un saluto: tra i primi, c’è Nino Benvenuti, che ha le lacrime agli occhi; c’è Vincenzo Cantatore, che getterà nella sala il suo mazzo di fiori con rabbia e disperazione; c’è Dino Zoff, che si tiene la pancia per il dolore; c’è Marcello Guarducci, mani nei capelli e mezze parole; c’è Nicola Pietrangeli, che non riesce a spostarsi dal muro. Quindi: pugili, calciatori, nuotatori, tennisti, e non solo atleti che hanno corso con Mennea. Comitive di ragazzi, gli sportivi dell’aeronautica e delle Fiamme Azzurre, che si alterneranno come picchetto. Poi, certo, arrivano i dirigenti: da Mario Pescante a Franco Carraro, con il presidente del Coni, Giovanni Malagò (“Sono ore di grande dolore, tutto lo sport italiano si sta accorgendo di questa grave perdita”) ad accogliere tutti sulla porta, da gran cerimoniere. E’ la prima volta che al Coni viene allestita una camera ardente per un atleta, ed è dal ‘99 per Primo Nebiolo che non veniva utilizzata per questa triste funzione. Mancano pochi minuti alle dieci del mattino, ecco la macchina che porta il suo corpo. Un applauso l’accoglie all’ingresso. La moglie Manuela scoppia a piangere forte. Le telecamere smettono di riprendere, i fotografi abbassano gli obiettivi, per rispetto.
Ora, inizia il via vai nella sala. Sarà così per tutto il giorno. Anche domani ai funerali (alle 10 nella chiesa di Santa Sabina, sull’Aventino, dove abitava), sono attese centinaia di persone. Arriva Giuliano Gemma: “Era un uomo silenzioso, e fuori dal sistema: e se gli giri le spalle, il sistema non ti perdona”. Senti Gianni Letta (“Rappresentava esattamente come dovrebbe essere uno sportivo oggi”) che parla con il suo ex-allenatore, Carlo Vittori, che gli dice: “Era una rarità, mi dava ancora del lei, fino agli ultimi giorni. Il suo dito alzato di quando tagliava il traguardo, era la dimostrazione della rabbia con cui chiedeva a se stesso sempre di più”. C’è Gianni Minà, che lo conosceva bene: “Una volta l’ho intervistato per due ore, poi mi sono accorto di non aver acceso il registratore, e lui mi ha rifatto l’intervista: un uomo d’altri tempi”. C’è Walter Veltroni con cui ha condiviso l’esperienza di parlamentare europeo: “Era il nero bianco, con una feroce determinazione nell’affrontare la vita fuori dalla pista d’atletica”. E, poi, anche Beppe Gentile (“Aveva doppie e triple vite: perché divorava libri, lauree, e voglia di conoscenza, difficile da trovare negli sportivi”), Massimo Donato (“Anche lo stile di come se n’è andato, ci ha spiazzati a tutti”) e Maurizio Mercuri (“Le sue gare con lui, mi tornano in mente ancora nei sogni”) che pure loro nel 200 metri vanno forte.
Nella sala, dietro la bara, c’è un maxischermo: le immagini rimandano le sue foto di gioia; dal suo urlo dopo la vittoria di Mosca, quando fu portabandiera a Seul, la medaglia d’oro, le braccia alzate per il suo record di 19”72. Ora, gira l’idea tra i dirigenti di creare il foro “Mennea” qui al Coni; e pure un’altra, tra le scrivanie più in là: aprire una biblioteca con i suoi dieci mila volumi di diritto sportivo, che Mennea custodiva, divisi tra il suo studio da avvocato (nel quartiere Prati) e casa. Al suo feretro, nel frattempo, arrivano tutti. Compagni di staffetta, e attuali atleti della corsa. Politici, e calciatori. Il libro con le firme, all’ingresso, è pieno zeppo di nomi (Stefano Mei, Umberto Risi, Francesco Rocca, Marisa Masulli, Marco Torrieri, Daniele Masala, Livio Berruti), e di frasi ad effetto: “Mennea per l’atletica, come Fellini nel cinema”, o anche: “Eri un uomo non omologato, e questo ti renderà unico”. Fino alle 21 della sera continuano ad arrivare le persone. I nomi grossi non contano più. Ora un vecchietto di 92 anni, che sta alla porta e piange, dice di aver corso con lui (perché nell’ultima fase della sua vita, Mennea andava allo stadio Paolo Rosi come tutti i praticanti di questo sport, e si confondeva tra la gente, tra gli atleti non certo professionisti): “Era silenzioso e schivo. In pochi lo hanno capito. Diceva sempre quello che pensava, e faceva tanti lavori. E in Italia, se non stai nella tua cuccia, tutti ti guardano storto”.
E’ sul sito di Vanity Fair
(E questo invece è il link per arrivare all’altro articolo che ho scritto per Cadoinpiedi.it, il blog degli autori di Chiarelettere, con altre riflessioni sull’argomento)
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