Cos’è ‘Istanbul United’? Ecco il mio reportage in Turchia che lo racconta… (su SPORT WEEK)

Istanbul, piazza Taksim, vicino c’è Gezi Park. Non è un caso che l’appuntamento sia qui, nel quartiere Galatasaray, sponda occidentale della Turchia. Proprio dove un anno e mezzo fa ci furono duri scontri tra forze dell’ordine e manifestanti, che portarono alla morte di 8 persone, 5000 feriti o intossicati, e oltre 2000 arrestati. E qui avverrà il primo degli incontri che faranno capire la svolta storica in cui si trovano le tre grandi tifoserie della città. Tutto nasce da una curiosità nata camminando per le strade. C’è una scritta che campeggia su alcuni muri in pieno centro. Dice Istanbul United, a caratteri cubitali, con lo spray, coi pennarelli, in grande, in piccolo, con le matite colorate. Per capire di cosa si tratta bisogna fare un salto indietro.

In Turchia il calcio è una questione seria. Esiste una statistica secondo la quale l’80% dei turchi è tifoso: il Fenerbahce conta 20 milioni di supporter, altrettanti il Galatasaray, e 10 il Besiktas. Da tradizione le tre squadre si sono spartiti la città: le tifoserie vivono in quartieri separati, chiamati come le squadre, con i propri locali, le proprie università, i propri lavori, non comunicanti tra loro. Ad ogni squadra corrisponde un preciso stereotipo: il Galatasaray è legata all’élite ottomana, il Fenerbahce è la squadra più ricca con tifosi vip, e il Besiktas è la squadra degli operai. Il fanatismo e la violenza sono la piaga del calcio europeo, ma non succede spesso che un incontro tra due club della stessa città diventi una questione di vita o di morte. Negli anni 80 tra di loro scoppiò una vera e propria guerra, con agguati, linciaggi e morti in strada: i tifosi andavano in giro armati e l’accoglienza per i tifosi avversari nei derby, se gli andava bene, era con lunghe lame affilate, le stesse usate per il kebab. Negli anni 90 una tregua ha attenuato la violenza, ma non l’ha eliminata del tutto. Nel 2000 due tifosi sono stati uccisi a coltellate prima di una partita contro il Galatasaray; e quando il club si è qualificato per la Champions League i tifosi hanno festeggiando sparando in aria: le pallottole hanno fatto un morto e 4 feriti; altri ancora prima di ogni derby. Ma ora vivono un momento di tregua, che sta facendo nascendo qualcosa di nuovo.

Dunque, è il momento del primo incontro. Fuori dalla metro c’è Kerem Gurbuz, neanche 40 anni, un lavoro a tempo indeterminato di buon livello. Non è un ultras, ci tiene a precisare, e si sistema la sciarpa giallorossa sotto il giubbotto. “Questo è il luogo del massacro”, dice. Il punto zero, da cui i tifosi turchi stanno ripartendo. E così inizia il suo racconto: “All’inizio erano una cinquantina di attivisti che volevano fermare la costruzione di uno shopping mall al posto di Gezi Park, ma quando Erdogan ha attivato le forze dell’ordine, siamo diventati milioni”. La notizia di questi giorni è che il governo turco ha redatto accuse per 35 tifosi del Besiktas che hanno preso parte alle proteste, che potrebbero portare all’ergastolo. Gli chiedo cosa c’entri il calcio. “Troppo facile dire: erano ultras. Come dire: sono loro i cattivi, lo sapete. Fa presa sull’opinione pubblica. Per il nostro governo il problema non è quando andiamo allo stadio, ma quando pensiamo. Noi esprimiamo le nostre idee, i nostri dissensi, utilizziamo il calcio per dialogare, tramite striscioni, scritte, cori. Gezi Park ha unito tifosi del Gala, Besi e Fener per la prima volta nella storia”.

Vado avanti con i miei incontri. E’ una sera poco dopo Natale, il Fenerbahce gioca in casa. Stadio Sukru Saracoglu, sponda orientale della città, completamente gialloblù. Qui tutti preferiscono essere chiamati per soprannome. Parlo con Aslan detto leone, e con Tabib, il medico. Mi raccontano di come abbiano aggirato in poche ore la chiusura dei social network per decisione di Erdogan, con la diffusione di nuovi codici proprio allo stadio. Un po’ come negli anni 80, quando un colpo di stato scardinò il parlamento, e la dittatura militare limitò la circolazione del libero pensiero proibendo le manifestazioni politiche. E in quegli anni, come venne raggirato il divieto? Tramite il calcio. Furono i tifosi i primi ad avere il potere della parola, all’interno degli stadi durante le partite. Non a caso il Carsi è nato proprio in quegli anni. Ed è qui l’ultimo appuntamento.

Primi di gennaio, derby tra Besiktas e Galatasaray. La partita vissuta tra i tifosi del Carsi, la frangia bianconera più estrema. Hanno tutti le sciarpe con il logo anarchico, il disegno dell’aquila nera o di Che Guevara. E’ gente della curva: un medico, un operaio, un uomo d’affari, un ragazzo analfabeta, un professore, uomini di sinistra e di destra, armeni, ebrei, cristiani, gridano a perdifiato “tu sei il mio unico amore”. Dicono di essere uno spirito ribelle, senza gerarchie né capi. “Non siamo uno gruppo, ma uno spirito condiviso”, mi dice Kiral, detto il prestigiatore, per via di qualche furto di successo. Chiedo dell’alleanza con le altre due tifoserie, e a rispondermi c’è Hazan: “Se ci sono altri che la pensano come noi, vuol dire che ci sono altre persone libere”.

Ultima chiacchierata prima di uscire dai confini turchi. Si tratta di Farid Eslam, professione regista, quasi 40 anni, madre ceca e padre afgano, insieme al suo collega Olli Waldhauer, ha girato un documentario di cui il governo turco non approva la diffusione (e che non riuscirà a proiettare nelle sale). Dagli scontri di Gezi Park in poi, i due hanno documentato l’alleanza tra i tifosi turchi. Racconta Farid: “E’ l’unica maniera che hanno per farsi sentire. Sono per la pace, e contro la guerra. Ma se c’è da fare la guerra sono i più bravi di tutti. E sono tifosi speciali: portano avanti iniziative di solidarietà, sono attivi nel sociale, molti di loro fanno volontariato, altri sostengono cause contro omofobia, razzismo. Il movimento è trasversale, e presto dilagherà”. Il film uscirà a febbraio e per raggirare i divieti sarà rintracciabile on-line e in dvd (Amazon come riferimento), da qualsiasi posto del pianeta. E’ stato appena presentato in Germania e ha avuto molto successo. I protagonisti sono tre ragazzi, tifosi delle tre squadre di Istanbul. Uno è Kerem Gurbuz. Il titolo è Istanbul United.

 

 

E’ su Sport Week in allegato alla Gazzetta dello Sport di oggi (sabato 17 gennaio 2015)

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