“Una forma letteraria degna di Hemingway e un’essenzialità che l’avvicina a Simenon”…mi hanno fatto una bellissima intervista su GQ sul mio nuovo romanzo!
“Gabriella Greison ha risposto a domande che nessuno si era mai fatto sulla vita di Albert Einstein, con una forma letteraria e soluzioni narrative degne di Ernest Hemingway e un gusto per l’essenzialità del dettaglio che l’avvicina a Georges Simenon”.
…mi è successo che mi hanno intervistato su GQ, e l’intervista è bellissima! Ecco il link, clicca qui.
EINSTEIN & ME in anteprima al teatro Sala Umberto di Roma domenica 23 settembre 2018 biglietti qui tratto dal mio nuovo romanzo EINSTEIN E IO in libreria da giovedì o qui!
Questo è il trailer, clicca qui.
In questo post racconto le prove al teatro Elfo Puccini di Milano, per arrivare all’ultima versione definitiva del monologo EINSTEIN & ME, clicca qui. E ci sono anche LE FOTO DI SCENA. Ora il monologo girerà l’Italia…
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Ecco l’intervista trascritta qui sotto (di Francesco Saverio Menichella)…
Albert Einstein e Mileva Marić:
E=mc² come nessuno lo ha mai spiegato
“Ho scelto il punto di vista della moglie per capire il genio di un uomo famoso e di una donna dimenticata,” dice Gabriella Greison autrice di Einstein e io. “Mileva Maric lo ha conosciuto più di tutti, era innamorata di lui e della fisica”. Intervista
Tutto è nato da una fotografia scattata nel 1927 al V Congresso Solvay dove sono ritratti i 29 scienziati che hanno creato la fisica quantistica. Gabriella Greison, fisico, giornalista e scrittrice l’ha osservata bene, studiata e amata domandandosi cosa, fra quei volti, fosse ancora necessario conoscere oltre ai premi, le ricerche e le loro scoperte. La sua immaginazione si è messa subito in moto ispirata da un desiderio d’umanità e di conoscenza che il valore e la grandezza dei personaggi di quel vecchio ritratto di gruppo in bianco e nero le hanno comunicato.
Cosa c’è, per esempio, dietro la formula dell’equivalenza energia-massa E=mc²? Come ha fatto Albert Einstein a intuire il punto di contatto tra la massa e l’energia che da sempre erano state pensate come due realtà fisiche separate? Comprendere la genesi e la semplicità di un’intuizione può avvicinarci tutti alla Fisica? Come è possibile raccontare le storie di questi uomini e donne senza inutili paure reverenziali e il terrore di non capire? Fisica e umanità, Mileva Maric e Albert Einstein sono come energia e massa? Esiste una formula per raccontare qualcosa di autentico e chiaro che faccia amare e comprendere a tutti la bellezza della foto di chi ha contribuito a cambiare la nostra visione del mondo? Cosa ci manca di sapere?
“Un giorno ho sentito dire a Cameron Diaz che avrebbe voluto comprendere il senso di E=mc²,” ricorda Gabriella Greison.
“Vorrei risponderle che una chiave per conoscere il senso di questa formula e cosa sia la fisica quantistica può trovarla nei miei libri, perché io semplicemente racconto l’umanità delle persone e i luoghi dove hanno nutrito il loro pensiero”.
Cameron Diaz ha oggi a disposizione ben quattro libri: L’incredibile cena dei fisici quantistici, Sei donne che hanno cambiato il mondo con le storie di Marie Curie (1867-1934), Lise Meitner(1878-1968), Emmy Noether (1882-1935), Rosalind Franklin (1920-1958), Hedy Lamarr (1914-2000) e Mileva Marić (1875-1948), Hotel Copenaghen come era chiamata la casa di Niels e Margarethe Bohr riferimento assoluto per le più grandi menti e talenti del secolo scorso e il nuovo romanzo Einstein e io, edito da Salani, dove la vita di Albert Einstein è riscritta attraverso la lunga storia d’amore con la moglie Mileva Maric. Un racconto in cui l’autrice senza nulla togliere alla verosimiglianza e scostandosi appena dalla realtà ha risposto a domande che nessuno si era mai fatto sulla vita di Albert Einstein, con una forma letteraria e soluzioni narrative degne della lezione di Ernest Hemingway e un gusto per l’essenzialità del dettaglio che l’avvicina a Georges Simenon.
“Nella scritura i miei due riferimenti assoluti cono Mark Haddon e Dave Eggers. Sono andata da loro per conoscerli e li seguo su twitter,” rivela Gabriella Greison. “Mi hanno aiutato a capire il modo di raccontare le scene e vedere dove i miei personaggi si muovono. Mi piace molto anche Ian McEwan di cui leggo tutti i libri perché amo la sua capacità di vivere e si immedesimarsi nella scena che descrive”.
Sopra tutti resta la lezione di Italo Calvino di cui conosce a memoria ogni pagina tanto da indurla ad autodefinirsi “calviniana” e recitare d’un fiato durante l’intervista un brano tratto da Le città invisibili:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
L’uscita del tuo nuovo romanzo, edito da Salani, “Einstein e io”, precede di pochi giorni il nuovo monologo “Einstein & me”. Continua il tuo viaggio letterario e teatrale alla ricerca di ciò che non ci è stato mai raccontato della Fisica?
Continuo a seguire i fisici del 20esimo secolo ritratti dalla fotografia del 1927 al V Congresso Solvay. Questa volta le ricerche mi hanno portata a Zurigo e a Berna perché il mio ultimo romanzo è dedicato ad Albert Einstein. Un riferimento di cui io, come tanti, sono innamorata perché ci ha raccontato il mondo per come lo conosciamo.
Cosa c’è ancora da sapere su Albert Einstein?
Volevo capire come Einstein era diventato Einstein. Così ho contattato i centri di ricerca e le università di Zurigo e Berna e ho incontrato chi lo studia da una vita. Mi sono resa conto che mancava questo racconto, il punto di vista della moglie Mileva Marić che l’ha conosciuto da quando era giovanissimo, nel 1896. Era seduta in terza fila vicino al corridoio dell’aula più grande del politecnico di Zurigo quando sono entrati i ragazzi che dovevano seguire il corso di Fisica e tra questi c’era Einstein che si è seduto proprio lungo la sua fila separati da un corridoio. Proprio lì si sono parlati la prima volta e lei era la quinta donna in assoluto a frequentare una facoltà scientifica.
Cosa ti ha colpito di questa donna?
Lei è fisica e nel 1896 a Zurigo pensava di realizzare i suoi sogni nella liberale e neutrale Svizzera dove era possibile farlo. Era uno dei pochi posti che accettava le donne in una facoltà scientifica. Conobbe Einstein quando ancora era un ragazzino e mi piace raccontare questa storia dal suo punto di vista perché lei sa tutto di lui. Mi incuriosiva seguire il giovane Albert per capire come è diventato Einstein e lei lo ha conosciuto più di tutti, era innamorata di lui ed è una fisica, praticamente potevo essere io. Io sono Mileva perché è grazie a donne come lei se oggi sono fisica e posso realizzare i miei sogni e fare quello che voglio.
L’io del romanzo e il me del monologo teatrale sottolineano l’importanza di questa identificazione tra te e il tuo personaggio?
Tutti i biografi di Einstein sono uomini e nessuno ha mai raccontato Mileva per la sua mentalità scientifica. Non è importante sapere il suo apporto alla teoria della relatività. Lei è quella donna che i bambini ammirano in Hermione rispetto a Harry Potter, la secchiona che ogni cosa che aveva se l’era conquistata con ore e ore di studio mentre lui era il miracolato con i poteri scesi dall’alto, il genio che non seguiva i corsi e faceva gli esami. Mi piace raccontare quanto lei fosse stata simile a lui e a me: fare le classifiche, trasformare tutto in numeri, non capire i sottotesti, i sarcasmi e le allusioni. Tutti raccontano le ribelli di quegli anni come piccole donne che poi tornano a fare la maglia in casa e così i biografi di Einstein ci hanno sempre raccontato Mileva.
Per questo sul palco tu impersonerai Mileva?
Mileva era me nel 1896 come lo sono tante donne di oggi. Quelle del passato non sono state raccontate bene. Non voglio attribuire la relatività alla prima moglie di Einstein. Lei lo amava come lo amo io e aveva la mia stessa mentalità. Nessuno l’ha mai raccontata così.
Oltre a un metodo di ricerca attento alla realtà già adottato nella scrittura degli altri romanzi, c’è in questo caso una passione narrativa molto forte. Una vera e propria catarsi storica, la vita di una donna che torna a farsi presenza tra le righe e sul palco. Come ci sei riuscita?
In questo racconto c’è lo svolgimento delle stagioni: l’inizio è l’estate di Mileva quando dal politecnico di Zurigo vuole cambiare il mondo e dimostrare cosa poteva fare una donna. D’altronde il suo idolo era Marie Curie. Poi arriva l’autunno e si fa strada l’imprevisto finché con l’arrivo dell’inverno lui esplode, diventa Einstein e il loro amore finisce. La primavera alla fine gliela ridò io perché è grazie a lei se esisto insieme a tante donne come me.
Mileva fu la prima donna al politecnico di Zurigo come reagiva alle discriminazioni dell’epoca?
Non si vergogna ad essere qui? Le dicevano alcuni all’università. Mileva catalogava comportamenti del genere come quando allo zoo si guardano i pitoni della Malesia. Faceva grafici e schemi a casa per dare un significato scientifico a questi atteggiamenti . Se ne fregava perché voleva realizzare i propri sogni.
Come si è innamorata di Einstein?
A Mileva piaceva la solitudine, ragionare da sola, meravigliarsi del mondo e trova uno che si stupisce come lei. Lui le dice: “Vorrei trovare una formula per fermare il tempo,” una frase che avrebbe sempre voluto sentirsi dire. Trova sempre il lato bello in ciò che dice Einstein perché lo vede buono e infatti all’inizio è strepitoso e ci si innamora di lui perché fa cose per cui non puoi che rimanere a bocca aperta. Lei aveva una gamba più corta e lui la va a prendere fuori dalla pensione per fare un giro in bicicletta dopo avere montato un accorgimento sul pedale per fare in modo che la sua gamba più corta fosse più alta rispetto all’altra e quindi pedalasse pari. “Sono le imperfezioni a rendere il mondo perfetto, le assimetrie sono la cosa più bella del mondo,” le spiega. Lei come fa a non innamorarsi. Oppure dice cose che lei ha sempre pensato da una vita e finalmente le sente dall’Einstein ragazzino. Uno che sgomita per esprimere il suo parere e non sopporta i paludati cattedratici. “La sapienza è una forza,” sostiene lei e lui ribatte dicendole che è la fantasia la nostra forza. Il suo migliore amico gli dà i nervi perché è un ingegnere e non immagina le cose.
L’immaginazione è una chiave per entrare nella mente di Albert Einstein. Come la rappresenti a teatro?
Faccio vedere esattamente tutte le immagini che ha visto Einstein per arrivare a elaborare la teoria della relatività. Sul palco sono sola ma nei momenti evocativi Mileva sente Einstein attraverso la voce di Giancarlo Giannini. “Rimarremmo bambini per sempre e ce ne fregheremo del mondo,”
è una frase detta in opposizione all’ambiente accademico paludato.
Nel romanzo e a teatro racconti della vita di Mileva e Einstein fino al 1919, l’anno del loro divorzio. Perché?
La vita di Einstein è proprio divisa in due: come è diventato Einstein e quando lo è stato. All’inizio non se lo filava nessuno, mandava gli articoli e lo trattavano malissimo: è bello vedere la fatica che ha fatto per diventare Einstein. Mileva lo incoraggiava a insistere e lui era come noi nelle piccole cose quando non si viene capiti e ci si lamenta perché attorno non capiscono. Mileva nella realtà è una perdente che torna a Zurigo con i due figli dopo il divorzio e i biografi se la dimenticano tranne riportare il punto di vista di Pauline, la madre di Einstein, che sosteneva fosse diventata matta. Mileva ha trovato la forza di andare avanti, all’inizio fu la quinta donna a frequentare una facoltà scientifica, poi è stata la moglie di Albert Einstein e poi niente. Lei ha cominciato a leggere, informarsi, vestirsi e un cambiamento lo ha vissuto. E poi io e tutte noi donne siamo la sua continuazione.
Prima dell’addio cosa si sono lasciati Albert e Mileva?
La fantasia e la voglia di giocare. La relatività prima fu immaginata. Hanno vissuto in una sorta di città ideale, una perfezione calviniana. Hanno capito esattamente cosa significa non essere inferno.
Questa, invece, è l’anticipazione uscita sull’allegato culturale di Repubblica di domenica scorsa…due pagine magnifiche!
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